martedì 20 settembre 2011

Al via la 18° Giornata mondiale dedicata alla forma di demenza che colpisce circa 600 mila italiani


di redazione
Dipingere un'emozione, accudire un cane, ballare il valzer preferito. Non solo farmaci, per i malati di Alzheimer. Alla vigilia della 18esima Giornata mondiale dedicata alla forma di demenza che colpisce circa 600 mila italiani, con circa 80 mila nuovi casi all'anno, un progetto promosso dalla Fondazione Manuli Onlus promuove l'arte terapia, la pet therapy e la danza movimento terapia. Trattamenti che si confermano un efficace complemento alle cure mediche tradizionali, per contrastare i danni del "ladro della memoria" e migliorare la qualità di vita del paziente e di chi se ne prende cura. I risultati dello studio pilota, condotto su un piccolo gruppo di malati coinvolti nel progetto "Isola in citta"« della Fondazione Manuli, sono stati presentati oggi durante un convegno a Milano.

La ricerca è durata 9 mesi, da marzo a novembre 2010. Pazienti con diagnosi di Alzheimer lieve o moderato sono stati selezionati e randomizzati in gruppi: uno stato sottoposto all'attività complementare (sedute di arte terapia, 12 pazienti, o di pet therapy, 6 pazienti), un altro (gruppo controllo) ad attività occupazionali generiche e non finalizzate. Per le valutazioni sono stati utilizzati un test che misura le funzioni cognitive globali, e due scale che permettono di valutare direttamente le reazioni comportamentali ed emotive. »Nel gruppo sottoposto ad arte terapia si è osservato un netto miglioramento - riferiscono gli esperti - in particolare un progressivo rilassamento e una maggiore predisposizione verso stati emotivi positivi, mentre nel gruppo controllo è emerso un progressivo calo nelle prestazioni«. Quanto alla pet therapy, si è dimostrata »particolarmente utile nel mantenimento delle competenze relazionali e di condivisione delle esperienze vissute«, ed è emersa da parte dei pazienti »una enorme attrazione e una forte propensione al contatto fisico e al dialogo«. Promettente, secondo gli esperti, anche la danza movimento terapia: ai malati vengono proposti brani e canzoni della loro giovinezza, e all'ascolto delle note »si assiste a un risveglio corporeo, al riaccendersi di emozioni e al desiderio di muoversi«.
»L'indagine si è focalizzata soprattutto sulla sfera cognitiva, emotiva e psico-relazionale dei pazienti - ha spiegato Livio Bressan, dirigente medico neurologo degli Istituti clinici di perfezionamento-Icp di Milano, coordinatore della ricerca - I risultati evidenziano un impatto molto positivo delle attività proposte, con effetti benefici sul benessere dei pazienti e dei caregiver. Tutto ciò suggerisce quanto sia fondamentale progettare percorsi integrati, capaci di favorire un approccio terapeutico che prenda in considerazione il progetto di vita di ogni singolo paziente«. »Il nostro obiettivo - ha sottolineato Cristina Manuli, presidente della Fondazione Manuli Onlus - è trovare gli strumenti migliori per alleviare la sofferenza dei malati, evitando l'isolamento e combattendo il senso di impotenza che colpisce sia i pazienti che le loro famiglie. Ci auguriamo che il nostro studio possa essere ampliato al più presto, poiché basato su presupposti in cui credono anche i neurologi«, ha precisato. »UniCredit Foundation - ha affermato il presidente Maurizio Carrara - guarda da tempo con grande attenzione ai risultati delle attività della Fondazione Manuli, nella convinzione che possano diventare un modello di riferimento per aiutare tutti coloro che sono costretti a misurarsi quotidianamente con gli effetti dell'Alzheimer«. Durante l'incontro il medico e psicoterapeuta Pietro Vigorelli, docente del corso di laurea in terapia occupazionale dell'università Statale di Milano, fondatore e presidente del Gruppo Anchise, ha presentato il progetto 'Parlare si può». L'obiettivo è abbattere la barriera di incomunicabilità che ostacola il rapporto paziente-famiglia. «Non parla più, si arrabbia, lo fa apposta, quando parlo non mi capisce», si lamentano molti caregiver. «Mi fa venire il nervoso, faccio tutto quello che possono e non ottengo nessun risultato», è il sentimento del malato. Per accorciare le distanze, all'Isola in città vengono organizzati 8 incontri: in 7 malati e caregiver vengono formati separatamente al dialogo, nell'ottavo si uniscono i gruppi e si valutavano i risultati. La prima fase si è conclusa con successo su 10 famiglie nel primo semestre 2011, la seconda fase su altri 10 nuclei familiari è ancora in corso. (Fonte: Adnkronos)

Nessun commento:

Posta un commento