venerdì 27 gennaio 2012

27 gennaio 2012 "Il Giorno della Memoria"

Per non dimenticare tutte gli stermini di massa perpetrati dall'uomo contro l'uomo

di Enzo Musella
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio come il "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah. Un giorno per non dimenticare la persecuzione dei cittadini ebrei e di chi subì le deportazioni, la prigionia e la morte. Ma per ripensare anche a coloro che, a rischio della propria incolumità, si opposero all’orrore e allo sterminio, dando rifugio ai perseguitati. Per ricordare in maniera efficace questa giornata riprendiamo la riflessione di don Angelo Tommasiello, pubblicata su "Il settimanale di Bagheria". Don Angelo, profondo conoscitore della Shoah, mette nero su bianco una riflessione di estremo interesse, che sfocia in una domanda inquietante. "Perchè ricordare solo il grande olocausto nazista e non le centinaia di stragi che sono succedute negli anni e fino ai giorni nostri?". Don Angelo ha ragione. Il 27 gennaio di ogni anno è doveroso ricordare le vittime sacrificali di tutti gli stermini di massa che sono perpetrati negli anni, molte delle quali dimenticate, sulle sue parole riflettiamo. «Il 27 gennaio 1945 le truppe dell'Armata Rossa abbatterono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz. Il mondo si trovava dinanzi all'orrore del genocidio degli ebrei.

Dalle testimonianze dei sopravvissuti e dal ritrovamento degli strumenti di tortura e di annientamento, fu possibile scoprire in cosa consisteva la "Endlsung der Judenfrage", la "Soluzione finale" sulla questione ebraica. Si trattava di sterminare il popolo ebreo e quei gruppi «non conformi» (rom, omosessuali, diversamente abili, neri, comunisti, slavi, cattolici, protestanti) al disegno nazista di purezza e perfezione della razza ariana. Tra il 1941 ed il 1945, nei campi di concentramento, istituiti dal regime nazionalsocialista, morirono tra i dieci e i quattordici milioni di persone. Numeri che hanno reso la Shoah forse il genocidio più tristemente famoso del Novecento. Famoso, ma, purtroppo, non unico. Altri genocidi, infatti, nel secolo appena trascorso hanno insanguinato il pianeta. Se si considera la definizione stabilita dall'ONU, il 9 dicembre 1948 con la risoluzione 260, «costituiscono Genocidio gli atti effettuati con l'intento di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso», è forse giusto auspicare che, accanto alle vittime della follia nazista, nel Giorno della Memoria si ricordino anche le vittime di altri genocidi che invece sono stati dimenticati. Di seguito un resoconto sintetico e non esaustivo, purtroppo, dei genocidi del '900. Il genocidio armeno fu il primo del '900. Tra il 1915 ed il 1916, il governo turco, intriso di un feroce nazionalismo, condusse una campagna di eliminazione sistematica della minoranza armena, perchè considerata nemica di religione (gli armeni sono cristiano cattolici). In quell'occasione, furono uccise tra un milione e un milione e mezzo di persone. L'Holodomor in Ucraina fu una carestia ideata e realizzata, negli anni '30, dal regime di Stalin per indebolire l'Ucraina. Innanzitutto ci fu una collettivizzazione forzata delle strutture agricole. La collettivizzazione provoco' una prima carestia e le confische alimentari divennero una prassi istituzionalizzata. Ma fu alla fine del 1932 che la situazione precipitò definitivamente: le autorità iniziarono a requisire non sono il grano ma qualunque genere alimentare e attrezzo agricolo nelle campagne. Dopo questi provvedimenti la gente cominciò a morire in massa. In tutto morirono di fame tra i sette ed i dieci milioni di persone. In Nigeria, la guerra civile scoppiò nel 1967, a seguito delle pressioni indipendentiste del popolo Igbo che aveva proclamato la Repubblica del Biafra, nella zona sudorientale del Paese. La risposta del governo non si fece attendere. Nel corso del conflitto, conclusosi nel 1970 a favore del governo nigeriano, si calcola che siano morte all'incirca due milioni di persone.  In Cambogia, il genocidio avvenuto è forse uno dei meno noti in Occidente. Tra il 1975 ed il 1979 i Khmer rossi, guidati da Pol Pot, occuparono il paese. L'intera popolazione venne classificata in categorie: c'era il «popolo nuovo», da rieducare nei «campi di rieducazione», il «sotto-popolo» e c'erano i «traditori» da eliminare. Vittime delle persecuzioni del regime furono le minoranze vietnamite, cinese e musulmana Cham, ma anche chiunque esercitasse una libera professione, considerata «borghese». I Khmer rossi sterminarono all'incirca due milioni di cambogiani su una popolazione di 7,7 milioni di abitanti. La storia del Rwanda è segnata in modo inequivocabile dal genocidio del 1994, che vide accanirsi le milizie locali e le bande di etnia hutu contro la minoranza tutsi, uno scontro esploso a seguito delle tensioni accumulatesi negli anni. Il Belgio, affidatario della regione dal 1924, aveva fornito il suo appoggio all'etnia tutsi in nome delle teorie fisiognomiche che vedevano nei tutsi, piu' alti e slanciati e con la pelle un pò più chiara rispetto agli hutu, un'etnia superiore. Negli anni '50, gli hutu iniziarono a ribellarsi ai tutsi. Il Belgio scelse di sostenere la «rivoluzione hutu». Nel 1962, il Rwanda divenne stato indipendente, ma ciò non placò gli scontri che si susseguirono negli anni tra gli estremisti tutsi del Fronte Patriottico Rwandese e i sostenitori dell' «Hutu Power». Quando nell'aprile 1994, l'aereo del presidente Habyarimana, di etnia hutu, venne abbattuto a Kigali, iniziò il genocidio: più di un milione di persone vennero trucidate con armi rudimentali e machete. Non esistevano posti sicuri, vennero violate anche le chiese. Francia, Gran Bretagna e Belgio organizzarono l'evacuazione dei propri cittadini dal Paese, lasciano il Rwanda a se stesso. Nel luglio del 1994 i tutsi sono andati al potere e milioni di hutu lasciarono il paese per timore. Il massacro di Srebrenica si inserisce nel quadro della guerra in Bosnia tra il 1992 e il 1995. I dirigenti comunisti serbi si rendono colpevoli di pulizia etnica nei confronti dei musulmani bosniaci. Nel luglio 1995 le truppe serbo-bosniache, guidate da Ratko Mladic, condussero un massacro sistematico dei musulmani bosniaci della zona protetta di Srebrenica che si trovava sotto la tutela dell'ONU. Le stime ufficiali parlano di più di ottomila morti, anche se le associazioni per gli scomparsi e le famiglie delle vittime ritengano più plausibile una cifra che superi i diecimila. Dal 2003 il Darfur, regione nel sud ovest del Sudan, è sconvolto da una sanguinosa guerra tra la maggioranza nera e la minoranza araba che nel resto del Sudan costituisce invece la maggioranza della popolazione e detiene il potere. La guerra fra arabi e africani contrappone le milizie governative, affiancate dalle truppe dei janjaweed di etnia araba, ai movimenti di liberazione formatisi tra la popolazione del Darfur. I «Janjaweed» (significa «uomini a cavallo con la scimitarra in mano») arrivano nei villaggi spesso preceduti da un bombardamento del governo, ammazzano gli uomini, violentano le donne e avvelenano i pozzi. La guerra in Darfur non e' stata qualificata però come genocidio, perchè non è ancora identificata come tentativo deliberato di cancellare un popolo dalla terra. Finora in Darfur sono morte più di 400mila persone.
Benedetto XVI, visitando il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il 28 maggio 2006, si chiedeva: «Dove era Dio in quei giorni? Perche' Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?». Gli stessi interrogativi se li erano già posti Hans Jonas, uno dei maggiori filosofi del XX secolo, nel suo testo "Il concetto di Dio dopo Auschwitz", sia i Rabbini ebrei, all'indomani della Seconda Guerra Mondiale. E certamente questi interrogativi ce li poniamo anche noi oggi, sbalorditi e spaesati di fronte alla morte, al dolore apparentemente senza spiegazione, dinanzi al dilagare dell'odio tra gli uomini, che continuano a dimenticare che se esiste la razza, questa e' unica ed e' quella umana! «Dove era Dio ad Auschwitz? E in Armenia? E in Nigeria? E in Bosnia? E dove è Dio oggi?». Ma forse sarebbe più corretto porsi un'altra domanda: «Dove era l'uomo? Dove e' l'uomo?». Il Talmud, uno dei testi sacri dell'Ebraismo, afferma che «tutto è nella mani di Dio fuorché il timor di Dio». Nel momento in cui Dio concede all'uomo il libero arbitrio e la possibilità di scegliere tra il bene e il male, la responsabilità delle azioni dell'uomo ricade sull'uomo stesso. Devono essere gli uomini, tutti gli uomini, ad alzare la testa, ad impegnarsi per costruire una società più giusta e solidale. Ogni uomo ha di fronte a sé la possibilità di cambiare il mondo in cui vive, a condizione, però, che eserciti responsabilmente il libero arbitrio che gli è concesso, la libertà che gli è donata, la possibilità di optare tra il bene e il male. Senza deleghe, senza timidezze, senza paure. Concludendo, credo sia auspicabile estendere il Giorno della Memoria al ricordo di tutti gli stermini e i genocidi presenti nel mondo e nella storia dell'umanità, per una riflessione più generale e completa, che permetta di interrogarsi sulla violenza che caratterizza in modo così tragico il genere umano fin dalle sue origini e dal primo omicidio, quello di Abele, messo in atto dal fratello Caino. Il genere umano, che è riuscito a conoscere a controllare e a utilizzare l'energia nucleare anche per fini pacifici e produttivi, dovrebbe imparare a conoscere e controllare, almeno sufficientemente, la violenza, che, altrimenti, potrebbe ancora o definitivamente travolgerci tutti, indistintamente tutti». Dalla profonda riflessione di Don Angelo passiamo alla cronaca di questa giornata che parte dalle parole del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Napolitano che si è emozionato nel ricordare la visita compiuta vent'anni fa ad Auschwitz insieme a Giovanni Spadolini in rappresentanza del Parlamento italiano. «E' stato importante - ha sottolineato Napolitano - il coronamento dell'omaggio ad Auschwitz con la firma del protocollo tra il ministero dell'Istruzione e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane per fare della nostra scuola ancor più compiutamente 'una scuola di memoria'. Questo impegno - ha concluso il capo dello Stato - rappresenta il miglior antidoto a quei rigurgiti di negazionismo e antisemitismo, di intolleranza e di violenza che il ministro ha denunciato come fenomeni, per quanto marginali, da stroncare sul nascere». La presidente della Regione Lazio Renata Polverini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ed il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti hanno presenziato in Quirinale, alle celebrazioni della Giornata della Memoria alla presenza Napolitano. Dopo la proiezione del documentario di Ettore Scola, si sono alternati gli interventi di tre giovani studenti. È stata poi la volta delle parole del presidente dell'Unione delle Comunità ebraica italiana, Renzo Gattegna e del ministro dell'Istruzione Francesco Profumo mentre ha chiuso le celebrazioni, il presidente della Repubblica Napolitano. «I rigurgiti di negazionismo, antisemitismo, di intolleranza e di violenza, per quanto marginali, - ha affermato Napolitano - sono fenomeni da stroncare sul nascere». «I veri nuovi nazisti - ha detto Gattegna - sono i negazionisti. C'è un morbo pericoloso e contagioso: il razzismo, inoculato durante il regime fascista di cui oggi si sentono i sintomi. Il grido 'mai più' 'pronunciato dopo Auschwitz non è bastato. Il giorno della memoria non è una semplice commemorazione dei defunti nè solo riguarda le vittime del popolo ebraico ma deve essere occasione per riflessioni condivise sulle deportazioni di oppositori politici, omosessuali, disabili, popolazioni rom e sinti». Il ministro Profumo, invece, che ha scelto come primo viaggio all'estero nella nuova veste istituzionale di accompagnare un gruppo di studenti ad Auschwitz insieme alla Comunità ebraica, ha parlato ai tanti ragazzi presenti, sottolineando che «abbiamo bisogno di voi, del vostro impegno quotidiano, a cominciare dalla scuola, a realizzare e combattere per una comunità viva e rispettosa, in cui mai possano ripresentarsi episodi di discriminazione nei confronti di chi viene additato come diverso da noi. La vostra capacità di reazione comincia dall'attenzione a chi vi è più vicino: il compagno di banco, l'amico. Ma c'è una responsabilità degli adulti, degli educatori, delle istituzioni che devono essere le prime a dare l'esempio, reagendo con forza e determinazione di fronte a ogni episodio di discriminazione, violenza, negazione. È questo l'impegno che prendo davanti a tutti voi: impegnarmi di più affinché nelle nostre scuole e università si insegnino con rinnovato vigore anche i principi fondamentali della nostra Costituzione, che senza alcun possibile fraintendimento riconosce a tutti i cittadini uguali diritti e dignità. La comprensione della Shoah e la spinta morale che ne deriva ci impegnerà, ciascuno nel posto che occupa nella sua comunità - ha concluso il ministro - a non sottovalutare e a contrastare attivamente ogni nuovo emergere di pratiche violente, dalle tragedie che dilagano in tante parti del mondo, alle più limitate ma non perciò insignificanti violenze nella nostra Italia. A cominciare dagli episodi di intolleranza verso stranieri, Rom, Sinti, disabili e deboli. Per non parlare dell'omofobia strisciante e dei rigurgiti di antisemitismo».

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