sabato 28 gennaio 2012

Novità dalle ricerche sull’Hiv

Poco più dell’1% dei sieropositivi ha uno scudo genetico
che rallenta la malattia

di Valeria Pollio
Secondo quanto riportato, nel 2011, dal Centro operativo Aids (Coa) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), sono oltre 45mila le nuove diagnosi di infezione da Hiv registrate in Italia tra il 1985 e il 2009 da 17 Regioni e Province italiane. Riguardo ai nuovi casi di Aids, dal 1982 (anno della prima diagnosi della malattia in Italia) al 31 dicembre 2010, sono stati notificati al Coa oltre 62 mila casi. Solo nell’1-2% di queste persone è stata riscontrata una particolarità, ovvero nel loro organismo la malattia non progredisce, anche se in assenza di terapia antiretrovirale.
Tali soggetti sono stati denominati “Long Term Non Progressors” (Ltnp). La scoperta dei nuovi marcatori genetici di resistenza naturale all’Aids interessa da vicino il nostro Paese in quanto sono coinvolti direttamente nello studio, insieme ai massimi esponenti europei del settore,  alcuni ricercatori del San Raffaele di Milano. Si tratta di Elisa Vicenzi e Giulia Morsica, oltre a Massimo Galli e Agostino Riva, autore 'senior' del lavoro scientifico, della Statale di Milano e ospedale Sacco. La ricerca, coordinata da Guido Poli, professore di Patologia generale e immunologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele e responsabile dell'Unità di immunopatogenesi dell'Aids nell'Istituto scientifico universitario di via Olgettina, èstata resa nota dal Journal of Infectious Diseases ed è stata condotta da un consorzio finanziato dal sesto Programma quadro della Commissione europea e chiamato “Gisheal-Genetic and Immunological Studies on Hiv+ European and African Ltnp”. “Questo lavoro – ha affermato il coordinatore della ricerca Guido Poli - servirà come base per ulteriori studi di varianti geniche associate alla resistenza spontanea alla malattia in persone già infettate e potrebbe portare alla scoperta di nuovi aspetti della risposta immunitaria, sia specifica che innata, importanti per la messa a punto di strategie di prevenzione generale dell'infezione quali i vaccini”. Vediamo più da vicino di cosa si tratta. In alcuni “Long Term non progressors” (ovvero sieropositivi che non hanno alcun bisogno del trattamento anti-HIV) presi in esame è stata riscontrata la presenza di 47 varianti genetiche, chiamate Snp, ovvero mutazioni di un singolo nucleoide. Il complesso di geni funge da scudo e rallenta lo sviluppo della malattia, il cosiddetto “Complesso maggiore d'istocompatibilità”o Mhc. Una ricerca precedente aveva fatto emergere l’importanza dei geni Mhc di classe I in quanto responsabili della risposta immunitaria specifica all'infezione esercitata dai linfociti T citotossicì. Tali linfociti sono in grado di riconoscere, grazie anche alle proteine codificate da questi geni, in modo selettivo le cellule infettate dal virus e di debellarle. L’attuale studio, invece, ha individuato la classe III dei geni Mhc, responsabile della codifica di molte proteine implicate nel processo di immunità naturale o innata alle infezioni. Tali varianti sono associate ai ltnp individuati dal consorzio Gisheal. “Purtroppo – dichiara ancora Guido Poli - il finanziamento europeo al consorzio Gisheal è terminato e non vi sono ulteriori finanziamenti attivi per proseguire lo studio”. “Tuttavia – conclude - i ricercatori del consorzio sono fiduciosi che l'importante pubblicazione scientifica stimolerà l'interesse di enti pubblici e privati per sostenere sia il consorzio che iniziative simili finalizzate a comprendere quali siano i segreti alla base della resistenza naturale alla progressione di malattia in persone infettate che non assumono farmaci anti-retrovirali. Cure che, è importante sottolinearlo, rimangono un presidio fondamentale per l'assoluta maggioranza delle persone infettate”.


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