sabato 24 settembre 2011

La situazione economico-finanziaria italiana è costretta a ricorrere ai finanziamenti europei pur di non collassare, come Irlanda, Grecia e Portogallo. Il debito pubblico ammonta a 1.900 miliardi di euro


Andamento del debito pubblico italiano di questi ultimi anni, il raffronto tra il nostro debito pubblico e quello dei più importanti Stati europei, e l’entità del debito pubblico nostrano correlato ai governi che hanno saputo ridurlo o aumentarlo
  
di Enzo Musella
L'economia è in crisi, il vecchio Continente sta crollando, l'eurozona è a rischio inflazione, l'Italia è sull'orla della bancarotta. E questo il lift motiv a cui in questi ultimi mesi, giornali e telegiornali nazionali, ci hanno abituato. Notizie che si ripetono a cadenza quotidiana e almeno una volta al giorno ribadiscono, quasi a volerci convincere, che l'unica via d'uscita è aumentare l'imposizione fiscale. Il motivo di questo tormento psichico e concreto a cui sono sottoposte soprattutto le fasce deboli del Paese è il debito pubblico. "Debito pubblico" due parole che ritroviamo dappertutto ma che pochi spiegano cos'è e a quanto ammonta.
Per fare finalmente chiarezza e non solo agli addetti ai lavori diamo uno sguardo al grafico in alto. Da qui possiamo notare l’andamento del debito pubblico italiano di questi ultimi anni, il raffronto tra il nostro debito pubblico e quello dei più importanti Stati europei, e l’entità del debito pubblico nostrano correlato ai governi che hanno saputo ridurlo o aumentarlo. 

La situazione economico-finanziaria italiana, complice la crisi che ormai da diversi anni grava sulle principali nazioni occidentali, è costretta a ricorrere incessantemente ai finanziamenti europei pur di non collassare, come Irlanda, Grecia e Portogallo.
Sintomo della gravità della malattia che affligge l’Italia intera è il dato sul debito pubblico rilasciato da BankItalia a giugno, relativamente al mese di aprile e durante il quale si è registrato un aumento di ben 22 miliardi rispetto a marzo. Un panorama, dunque, tutt’altro che rassicurante e che riesce a peggiorare se si considera l’aumento di oltre 3 miliardi collezionato dalle amministrazioni locali (regioni, province, comuni).
Cosa significa tutto ciò?
Che il debito italiano complessivo è arrivato a sfiorare quota 1.900 miliardi di euro (1.890,60), in aumento del 2,5% rispetto alla fine del 2010 e a pesare sulle tasche di ogni singolo italiano per ben 30.000 euro.
Da qui molteplici reazioni. «Sono mesi che dico che e ora di aggredire il debito pubblico e mesi che indico la strada: dismissioni». E' quanto afferma ad Avvenire il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto, che spiega: «Abbiamo 1900 miliardi di debito. Possono scendere a 1500 se vendiamo una buona parte del nostro patrimonio immobiliare. Io non aspetterei un minuto». «Il debito rischia di trascinarci a fondo nei prossimi anni - lancia l'allarme Crosetto - Paghiamo 90 miliardi l'anno di interessi, ma se ritrovassimo credibilità e il mondo capisse che stiamo aggredendo il debito con determinazione potremmo avvicinare i nostri tassi a quelli tedeschi e così risparmiare di soli interessi venti, trenta miliardi l'anno». Infine Crosetto attacca il ministro dell'Economia: «Abbiamo messo per tre anni il futuro del Paese nelle mani di Tremonti. Gli abbiamo dato un potere e un'autonomia senza precedenti. Ora scopriamo di essere stati traditi e ci troviamo costretti a cambiare. Basta accentrare tutto a via XX Settembre. È ora di spostare il luogo del confronto a Palazzo Chigi».
Non spetta agli industriali «dire se Silvio Berlusconi deve continuare o meno ad essere il primo ministro». È uno dei passaggi dell'intervista del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, al quotidiano spagnolo El Mundo nella quale dice comunque che «o il governo trova la forza e la capacità di fare le cose che deve fare, di interrompere il circolo vizioso nel quale ci troviamo, ha avvertito, o non si può continuare così». «Noi chiediamo - afferma Marcegaglia - che sia varate misure per stimulare la crescita e ridurre gli sprechi. E diciamo che se il governo non pone in marcia queste misure in un tempo brevissimo, dovrebbe andare a casa, perchè il paese si trova in un momento critico». Secondo la presidente di Confindustria nella coalizione di governo «la Lega Nord non vuole che si porti a termine la riforma delle pensioni» e «sulle liberalizzazioni c'è una parte del partito di Berlusconi che non le vuole». «È chiaro che la crisi non è gestita nel modo adeguato. Quando il governo prepara misure di austerità, per esempio, annuncia iniziative che nella seguente versione scompaiono, e che nella bozza successiva sono ripescate. Tutto questo ci ha penalizzato molto ed ha provocato la sfiducia dei mercati». Inoltre, secondo Marcegaglia, fra le misure adottate dal governo «non ce n'è alcuna che stimoli la crescita economica». Insomma, il paese si trova «in una situazione terribile»: «siamo molto preoccupati». «Il principale problema dell'Italia è che ha una economia che non cresce da 15 anni» perchè «non sono state decise le riforme necessarie per farla crescere». Ed è «assolutamente chiaro», per la presidente degli industriali, che l'Italia ha un problema di credibilità«. »Benché siamo un paese industrialmente solido, purtroppo il mercato ci considera peggio della Spagna. In questo momento c'è una differenza di 40 punti in favore della Spagna nel differenziale con i bond tedeschi, mentre fino a un paio di mesi fa era il contrario«. Per Marcegaglia »abbiamo chiaramente un problema di immagine. È una cosa che noi imprenditori sentiamo molto chiaramente, e che ci danneggia: ci guardano con sarcasmo«.
«Tutti dobbiamo dare maggiore enfasi alla crescita. Non dobbiamo cadere nell'errore di fare politiche solo di austerity e di tagli tutti insieme che alla fine portano solo recessione»: lo ha detto l'amministratore delegato di Intesa San Paolo, Corrado Passera, per il quale «è su questo che dobbiamo mettere alla prova la classe politica e dirigente del Paese». Per Passera sulla gestione della politica europea e dei singoli Paesi c'è una mancanza di credibilità: «In Italia - ha affermato - abbiamo i problemi di sempre a cui si aggiungono i problemi degli ultimi mesi del presidente del consiglio evidenti a tutto il mondo. E abbiamo una manovra fatta in maniera confusa. Tutto ciò non crea fiducia. E la fiducia si recupera solo con misure serie».
«Il costo della crisi - da noi più che altrove - continuano a pagarlo, in speciale e gravoso modo, soprattutto gli onesti». Lo rileva il direttore di "Avvenira" Marco Tarquinio, rispondendo a una lettera di Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle Entrate. Tarquinio pensa soprattutto a chi è in regola con il Fisco: «lei e i suoi esperti collaboratori aiutate a trovare il modo per "premiarli", consigliate al meglio i signori del governo e del Parlamento. Tutti noi, che tecnici non siamo ma neanche sprovveduti, vi faremo un monumento». Quanto alla necessità di educare al bene comune rivendicata anche da Befera, il direttore del quotidiano della Cei osserva: «mi fa piacere che convenga. A patto che non resti teoria. Cioè, purché il premio al cittadino- contribuente onesto non consista soltanto - come direbbe un personaggio di Carlo Verdone - in una "botta di autostima"».
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