venerdì 27 gennaio 2012

Sopravvive ad una valanga e diventa un caso scientifico

Ecco l’incredibile storia di uno
sciatore salvato dal suo “corpo”
di Jacopo Di Bonito
Intrappolato per due ore sotto una valanga di neve, e poterlo raccontare. A circa un anno dal quel maledetto giorno, il 42enne sciatore trentino, rimasto schiacciato dalla “montagna di neve” delle Alpi Serentine, diventa un caso scientifico internazionale. Secondo i ricercatori dell’Eurac (Accademia Europea di Bolzano), che hanno redatto un articolo per Annals of Emergency Medicine, il 42enne al momento del ricovero in ospedale presentava una combinazione di complicanze atipica, mai riportata nella letteratura specialistica. Estratto dalla neve con una temperatura di 24°C, in ospedale lo scialpinista presentava aritmie, picchi di ipoglicemia e iperglicemia e un edema polmonare sviluppato dopo l’inizio del riscaldamento. In altre parole, il quadro clinico mostrava chiaramente che per combattere l’ipotermia il corpo aveva in un certo senso “compensato”, innescando tutta una serie di reazioni chimiche, che hanno mantenuto la temperatura corporea ad un livello accettabile.
Hermann Brugger, direttore dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell'Eurac, è sicuro: “Il caso può diventare il punto di partenza per studi sperimentali focalizzati sullo studio dell’uso di queste metodiche e sulle possibili complicanze”.
L’esperto di valanghe altotesino, da anni si occupa di salvataggi estremi e sa bene cosa vuol dire rimanere intrappolati sotto metri di neve ghiacciata. Brugger, in collaborazione con il collega svizzero Hans-Jürg Etter e Markus Falk, esperto di biostatistica di Brunico, ha pubblicato, lo scorso anno, uno studio sulle probabilità di sopravvivenza delle vittime di valanghe. I tre ricercatori hanno raccolto dati sugli incidenti da valanga avvenuti in Svizzera e hanno scoperto che le probabilità di sopravvivenza delle vittime erano superiori al 90% se venivano soccorse entro 18 minuti, ovvero 102 minuti in meno rispetto a quelli trascorsi dallo sciatore trentino.
In Italia il problema valanghe è una minaccia costante per tutti gli alpinisti. La neve non battuta rischia di venire giù all’improvviso, e proprio per questo le forze dell’ordine presidiano, nei limiti del possibile, le zone più a rischio.
In Italia dati sugli incidenti da valanga sono raccolti da diverse organizzazioni preposte alle prevenzione e al soccorso in montagna: gli Uffici Valanghe afferenti all’AINEVA, il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), l’Alpin Verein Sudtirol (AVS), il Servizio Valanghe Italiano (SVI/CAI) e il Soccorso Alpino della Guardia di Finanza (SAGF).
Per ogni incidente, oltre al semplice conteggio dei travolti e dei danni che hanno riportato, sono raccolte, per quanto possibile, informazioni sulla dinamica dell’evento con  una relazione che illustra le condizioni del terreno, meteorologiche e nivologiche.
Le relazioni vengono in seguito utilizzate per preparare il resoconto sugli incidenti che presentato nella riunione annuale della Commissione Internazionale del Soccorso Alpino (CISA-IKAR).
Secondo i dati, in Italia, dalla stagione invernale 1986-1987, sono stati rilevati 511 incidenti da valanga di cui 497 sulle Alpi e 14 sugli Appennini, che hanno provocato 303 morti, con un tasso di mortalità pari al 59%.
Le valanghe minacciano e non poco la vita di migliaia di turisti, che troppo spesso, e per un briciolo di adrenalina in più, ignorano i bollettini di pericolo, abbandonano le piste consentite, e provocano pericolosissime slavine, proprio come è accaduto allo sciatore trentino, diventato oggi, un caso scientifico.






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