venerdì 16 settembre 2011

Sono 600mila gli italiani che soffrono di reumatismi, soprattutto i giovani

di Enzo Musella
Sembra proprio che in questi ultimi mesi in Italia le buone notizie siano esaurite. Tra manovra finanziaria, tasse da pagare e la grande guerra alla disoccupazione, occorre fare i conti anche con la salute. E manco a dirlo a pagare sono soprattutto i giovani. Infatti da uno studio di queste ultime ore i reumatismi in Italia insidiano l'1% della popolazione: circa 600 mila persone «con un vero e proprio handicap che limita la qualità della loro vita. E al contrario di quanto si possa pensare, sono soprattutto i giovani a soffrirne, in alcuni casi persino in bambini
e neonati». È il bilancio di Giovanni Lapadula, direttore del dipartimento di Medicina interna e medicina pubblica dell'Unità operativa di Reumatologia dell'Università di Bari. L'esperto, a Roma per partecipare all'incontro scientifico, Dai trial clinici alla pratica clinica: il ruolo dei registri europei - Una finestra sulla Real Lifè, spiega all'Adnkronos Salute che «i reumatismi sono una malattia infiammatoria cronica con cui il paziente deve convivere e che spesso portano invalidità. Sul piano sociale si tratta di un fenomeno che incide moltissimo, ad esempio, sulla capacità lavorativa dei pazienti e che dovrebbe essere preso maggiormente in considerazione dai decisori politici». Dai reumatismi vanno distinti disturbi emergenti meno gravi ma comunque molto diffusi, come «i dolori muscolo-scheletrici derivanti dalle scorrette posture - evidenzia Lapadula - Una volta si avevano dolori perchè si andava a caccia, oggi si hanno dolori perchè si sta ore e ore seduti davanti al computer». A questi pazienti, sempre giovani, si aggiungono quelli «con artrosi derivanti da traumi, soprattutto in moto e motorino, che colpiscono in particolare le articolazioni, con sofferenza cronica derivante dall'alterazione della posizione originaria dell'osso».
All'incontro romano circa 100 specialisti si sono concentrati sulle malattie reumatiche autoimmuni: la disponibilità di farmaci biologici ha cambiato il decorso clinico e la prognosi dei malati. Dopo circa 10 anni di utilizzo, i reumatologi sono sempre più consapevoli del loro profilo di efficacia e sicurezza a lungo termine, non solo in base ai dati estrapolati dai diversi trial clinici, ma anche da quelli provenienti dai registri. Essi hanno permesso di ottenere maggiori informazioni sulla vita reale, in particolare in pazienti che possono presentare co-morbidità, che non solo rendono difficile la scelta del farmaco, ma talvolta possono controindicarne l'utilizzo. L'evento, primo nel suo genere e in corso fino a domani, ha come obiettivo quello di mettere a confronto i contributi dei diversi registri europei su tematiche di particolare interesse nel campo dell'artrite reumatoide e delle spondiloartriti.
In pratica, dall'osservazione di ciò che accade nei pazienti, nasce un nuovo modo di fare medicina: «A differenza dei trial clinici che prendono in considerazione un selezionato numero di pazienti e li osservano per un periodo di tempo limitato - spiega Lapadula - la creazione di un registro europeo unificato 'Real Lifè consente ora a tutti i clinici di condividere e analizzare elementi che, applicati alla pratica clinica, permettono di fare una terapia su misura, quindi sempre più efficace». In Italia esiste un registro dell'associazione Gisea (Gruppo Italiano Studio sulla Early Arthritis) che riunisce la storia clinica di 3.800 pazienti, raccolti nei 25 centri autorizzati. Oggi, grazie a una piattaforma internet, è possibile mettere a punto un protocollo condiviso per la raccolta dei dati e dotare ogni paziente di una cartella clinica elettronica. Vedendo la storia clinica di queste persone si notano pazienti con ipertensione, diabetici o che assumono anche altri farmaci: tutte situazioni che nessun trial clinico potrebbe mai prendere in considerazione. Nel corso dell'incontro i reumatologi hanno inoltre «messo a punto un documento di consenso sui farmaci biologici - conclude Lapadula - con consigli ai reumatologi relativi alle differenze fra diversi medicinali, alla sicurezza e a nuovi dati che sembra aprano alla possibilità di somministrarli anche in presenza di epatite C e gravidanza». (fonte Adnkronos)

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