di Marina Ranucci
Oltre un milione di forza lavoro nel 2010 è “scoraggiata”, non cerca lavoro perché convinto di non trovarne. È il dato emerso dall'ultimo report dell’Istituto Nazionale di Statistica sui lavoratori italiani. È il 42% degli individui considerati inattivi, che non si impegna a cercare lavoro, nonostante sia disponibile, perché crede di essere o troppo giovane o troppo vecchio, di non avere le adeguate professionalità, o perché pensa che non esistano concrete occasioni di impiego nel mercato del lavoro locale.
Il dato è inquietante, se si pensa che il "Belpaese" è già afflitto dalla crescente disoccupazione. Oltre due milioni di italiani infatti, pur cercando lavoro attivamente non riesce ad occuparsi. Il fenomeno è noto proprio come “scoraggiamento” ed investe un numero consistente sia di uomini che di donne. Di queste ultime sei su dieci non sono alla ricerca di un impiego ma sono disposte a lavorare subito. E paradossalmente, il numero più alto degli inattivi è individuato nei i giovani tra i 14 ed i 24 anni giunti al 30,9% del campione nel 2010. Gioventù che dovrebbe avere la voglia e lo stimolo a cercare un lavoro, avendo anche maggiore forza fisica per affrontare la ricerca, ma che da quanto emerge non possiede nemmeno una di queste caratteristiche.
La percentuale di demoralizzati, cresce nell’area meridionale dove le minori opportunità di impiego sono accompagnate da una maggiore sfiducia nella possibilità di trovare e mantenere un'occupazione. «D'altra parte, la mancanza di competenze specifiche da spendere sul mercato del lavoro alimenta un atteggiamento di rinuncia alla ricerca attiva: gli scoraggiati che hanno conseguito al massimo la licenza media sono la metà del totale, i laureati un quinto», dichiara l’Istat.
E rispetto alla media europea il valore italiano è triplo. L’Unione Europea denuncia il 3,5%, valore ben più alto se paragonato a quello di Francia (1,1%), Germania (1,3%) e Regno Unito (2,7%).
I dati in base all’area geografica di appartenenza, anche in questo fenomeno, segnano lo storico divario tra Nord e Sud della penisola. «Nel Mezzogiorno infatti, gli individui che non cercano ma vorrebbero comunque lavorare equivalgono, dice ancora l'Istat, a circa un quarto delle forze di lavoro; un risultato di oltre 6 volte maggiore a quello del Nord».
Sommando dunque la grande quantità degli inattivi a quella dei disoccupati si ottiene la reale fotografia di tutti coloro che potenzialmente sarebbero impiegabili in un processo produttivo in Italia: circa 5 milioni di persone nella media 2010. E, causa crisi, cresce anche il numero dei “sottoccupati” ovvero quegli impiegati part-time che, dichiara ancora l'Istat, rappresentano nel 2010 l '1,7% della forza lavoro, con una incidenza più contenuta per gli uomini rispetto alle donne, come riflesso della maggiore diffusione dell'occupazione part-time tra le lavoratrici che spesso sono mamme o preferiscono avere un lavoro con numero ridotto di ore che permetta loro di dedicarsi alle proprie famiglie. Ancora, in un contesto di crescita del numero di sottoccupati part-time dove la più alta quota di sottoutilizzo riguarda le donne, almeno un sottoccupato ogni due ha tra 35 e 54 anni. D'altro canto nel Nord Italia, dove è maggiore lo sviluppo degli impieghi a orario ridotto, aumenta la presenza dei sottoccupati fino al 48% del totale.
In conclusione viene fuori un ritratto sempre più oscuro dell’Italia, già in passato derisa per il cosiddetto fenomeno dei “bamboccioni”, e che sicuramente lo sarà ancora perché non si esiterà a mettere il dito nella piaga dei demoralizzati che piangono disoccupazione. (Fonti: Ansa, Adnkronos)
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