venerdì 7 ottobre 2011

Studio della sindrome di Rett: il nuovo passo avanti è tutto targato Italia

di Jacopo Di Bonito
Nonostante i fondi tagliati alla ricerca e la fuga dei cervelli verso nazioni più ambite, il valore della ricerca italiana torna a fare notizia. Un importante passo avanti è stato effettuato nella comprensione della sindrome di Rett, grave malattia neurologica ancora priva di cura che si manifesta tra il nono e il ventesimo mese di vita e comporta un progressivo rallentamento dello sviluppo, la regressione delle abilità psicofisiche e l'irreversibile perdita del linguaggio, e spesso è associata ad autismo ed epilessia.


Lo studio, coordinato da Gian Michele Ratto dell'Istituto nanoscienze (Cnr-Nano) di Pisa con Silvia Landi ed Elena Putignano della Scuola normale superiore, in collaborazione con Elena Maria Boggio dell'Istituto di neuroscienze (In-Cnr) di Pisa, Maurizio Giustetto dell'università di Torino e Tommaso Pizzorusso dell'università di Firenze, è stato pubblicato su Scientific Reports del gruppo Nature.
I ricercatori, che per realizzare le misure hanno utilizzato l«imaging a due fotonì, una tecnica complessa e all'avanguardia che permette di vedere le cellule cerebrali al passare dei giorni, hanno scoperto, con grande stupore, che alterazioni delle sinapsi delle cellule cerebrali sono presenti fin da quando i sintomi sono ancora lievi. Quindi, secondo i risultati ottenuti, intervenendo con terapie farmacologiche mirate in fasi molto precoci della malattia, si potrebbe rallentare il processo degenerativo della patologia. “Nonostante si conoscano le cause genetiche, dovute per il 90% a una mutazione del gene Mecp2, abbiamo cercato di capire quali fossero le alterazioni cellulari che portano all'insorgenza della malattia, delle quali si sa poco”, commenta Gian Michele Ratto del laboratorio Nest. “Studiando il modello animale della sindrome di Rett, abbiamo esaminato un particolare della cellula cerebrale, le cosiddette spine dendritiche, piccole strutture distribuite sui neuroni sulle quali hanno sede le sinapsi, che come è noto garantiscono il "dialogo tra neuroni". Quandocambiano forma o posizione di una spina, cambia anche la sinapsi associata. Alla base dei processi di apprendimento e della memoria c'è in qualche modo la capacità di queste strutture di rispondere e adattarsi agli stimoli esterni”.Nelle cellule adulte, dove le spine dendritiche sono stabili, non sono state rilevate differenze tra le cellule malate e quelle sane. L’unica possibilità che esiste, quindi, per contrastare il problema, è sottoporre il paziente ad una terapia farmacologica, infatti: “una singola iniezione del fattore di crescita insulino-simile, IGF-1, sembra capace di prevenire la scarsa mobilità delle spine malate nella fase precoce”, spiega Silvia Landi della Normale, che ha condotto l'esperimento.“Ciò suggerisce che qualunque trattamento farmacologico per favorire il normale sviluppo delle sinapsi dovrebbe essere iniziato precocemente, addirittura ancor prima di osservare i sintomi clinici della malattia”.Le speranze della medicina di arrivare ad una cura definitiva trovano nuova linfa nei risultati degli scienziati di Pisa.La ricerca italiana fa nuovamente parlare di sé, riuscendo a raggiungere risultati eccellenti anche in un Paese, che troppo spesso, quando c’è da tagliare sui costi, dimostra di non credere in lei. 




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