domenica 8 gennaio 2012

Protesi Pip riempite con scarti industriali: tremano anche i pazienti maschi

di Jacopo Di Bonito
Lo scandalo Pip si allarga a macchia d’olio. La casa francese, produttrice delle tanto discusse protesi mammarie, non si sarebbe limitata a commercializzare solo impianti per donne, ma avrebbe immesso sul mercato anche protesi per uomini riempite con il medesimo silicone industriale. Se così fosse, il disastro sanitario sarebbe totale. “Le protesi maschili nocive sono state commercializzate anche in Italia, ma a oggi è difficile dire quando, dove e come. Per questo, sicuramente ci saranno indagini da parte delle autorità sanitarie del nostro Paese”. Ad affermarlo è Vincenzo Mirone, ordinario di Urologia all'Università Federico II di Napoli e segretario generale della Società italiana di urologia (Siu). 

Il censimento, anche in campo maschile, sembra quindi d’obbligo. Individuare i pazienti portatori ed effettuare esami sulla qualità delle loro protesi è la prima cosa da fare.
Migliaia di pazienti in tutto il mondo vivono con il fiato sospeso. Le protesi maschili, impiantate nei pazienti colpiti dal tumore ai testicoli, potrebbero essere molte più di quanto si immagina.
“Il tumore del testicolo – spiega Vincenzo Mirone - è il più frequente fra i 20 e i 40 anni. Quindi una fascia d’età giovane, nella quale i pazienti in quasi tutti i casi richiedono la protesi per avere un risultato estetico soddisfacente. Pensiamo a un ragazzo giovane, magari di 25 anni: di certo non è piacevole per lui diventare monorchide. Dunque si ricorre all'impianto di protesi a silicone pieno. E ci risulta che quelle a marchio Pip siano state commercializzate anche nel nostro Paese, dove c'è un caso di tumore testicolare ogni 100 mila abitanti e l'85% dei malati richiede la protesi. Negli anni '70 – conclude Mirone - la mortalità per questa patologia era del 90%, oggi la percentuale si è invertita al 10%”.
Se il capitolo protesi maschili Pip è appena all’inizio, quello femminile ha già alle spalle una vasta letteratura. Secondo le ultime indiscrezioni la Commissione Ue avrebbe in mente tutta una serie di nuove norme che disciplinino il commercio delle protesi mammarie. L’obiettivo degli addetti ai lavori sarebbe quello di riuscire a raggiungere un tracciabilità massima di tutte le protesi mediche immesse sul mercato, rafforzando così lo scambio di informazioni tra gli Stati.
Se le direttive europee mirano ad evitare un nuovo scandalo Pip, in Italia e precisamente in Toscana il Sistema sanitario regionale si stringe attorno alle pazienti che sono ricorse ad un impianto mammario prima del 2001. Consulenza, controllo ed eventuale rimozione a carico del Servizio sanitario regionale sono le linee d’azione individuate dall’assessore regionale al diritto alla salute Daniela Scaramuccia, che ha dichiarato: ”nel corso degli incontri svolti presso l'assessorato con i responsabili del settore e i direttori delle aziende sanitarie sono state poste le basi tecniche per la realizzazione degli interventi della Regione Toscana in questo ambito, a monte dei quali c'è l'esigenza di fare chiarezza sui rischi oncologici e quelli extra-oncologici legati alle protesi francesi”.
Il segnale lanciato dalla Toscana è forte e chiaro. Le pazienti ingannate non possono e non devono essere lasciate sole.
Lo scandalo Pip che sta investendo in queste ore l’universo maschile genera nuova rabbia e preoccupazione. Viene comunque da chiedersi come sia stato possibile permettere, all’azienda francese, di commercializzare un prodotto altamente nocivo nella più totale tranquillità. Le analisi sulle protesi in questione devono essere state effettuate e poi firmate da qualcuno, quello stesso qualcuno che oggi ha sulla coscienza la vita di migliaia di pazienti ingannati.
   


Il numero dei pazienti maschi portatori non dovrebbe essere però molto elevato. Secondo le prime stime, i “nuovi ingannati” sarebbero circa 40 in tutta Italia. “Diciamo che ogni 100 protesi al seno - spiega Nicolò Scuderi, ordinario di Chirurgia plastica all'Università Sapienza di Roma - ne viene impiantata una al testicolo. Dunque, se in Italia abbiamo circa 4mila donne portatrici delle protesi al seno incriminate, facendo una proporzione, si può ipotizzare che potrebbero essere al massimo 40 i pazienti maschi con impianti a rischio”. Conclude l’esperto.

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