Le donne italiane lavorano di più e guadagnano di meno
di Giuseppe De Stefano
Esiste una profonda disparità nella società italiana, che parte dalla cultura e attraverso il costume arriva a leggersi in busta paga. È questa la realtà che emerge dagli ultimi dati su retribuzione e lavoro familiare. Nel “Rapporto sulla coesione sociale 2011” i numeri diffusi da Inps, Istat e Ministero del Lavoro riferiti all’anno 2010 evidenziano enormi disparità di genere. Computando i tempi di lavoro quotidiano e di cura familiare, infatti, emerge un profondo gap tra uomini e donne che raggiunge la consistenza di 1 ora e 3 minuti per semplici partner e sale fino a 1 ora e 15 minuti in più nelle coppie con figli.
Il lavoro familiare in Italia risulta per il 71,3% unicamente a carico delle donne, e il dato si aggrava al Sud e nelle famiglie con figli adolescenti. Si tratta di un dato che sembra potersi leggere anche come triste accusa che conferma un costume tradizionalmente più cristallizzato nella società meridionale. I dati dei contribuenti Inps, invece, oltre ad una geografia assai particolareggiata e diversificata della retribuzione nel nostro Paese che vede ancora una volta i dati più gravi per Sud e Isole, ci consegnano un divario di genere intorno al 20% di media per quanto riguarda il lavoro dipendente. Divario che si accentua ancor più di qualche punto percentuale quando si applica ai lavoratori immigrati, rispecchiando un ulteriore punto a sfavore per l’impietosa fotografia della nostra società che risulta dal rapporto. In questo senso anche le prime reazioni politiche alla presentazione del rapporto, venute dal senatore Giuliana Carlino, capogruppo dell’Italia dei Valori in commissione lavoro. Secondo l’On.Carlino questi numeri altro non sono che la prova dell’insufficienza del nostro welfare, sia in termini di parità di genere che per la discriminazione nei confronti degli stranieri. L’impegno eccessivo rivestito dalla figura femminile rispetto al partner indica pure un ritardo inaccettabile del nostro Paese che và oltre i caratteri culturali e mette in discussione le istituzioni. La denuncia della Carlino è soprattutto in questo senso, poiché troppo spesso le giovani donne sono costrette a scegliere tra la maternità e la carriera anche a causa di lacune nel sistema di assistenza, e non solo per una questione di costume. L’accusa del senatore dell’Idv è anche e soprattutto politica, dal momento che il rapporto dà occasione di rilanciare il latente ddl sulle quote rosa nei cda, ancora in attesa di approvazione. Un concetto, quello delle quote rosa, definito “odioso” dalla stessa Carlino, perché evidentemente l’imposizione di una quota implica un criterio di scelta che è altro da quello meritocratico. Ancora più odioso, dunque, rilevarne la necessità. A testimoniare che in Italia, purtroppo, le pari opportunità sembra che siano ancora un optional.
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