domenica 19 febbraio 2012

Cosa resta dell’autonomia universitaria

a cura di Arturo Maullu * 
Sta maturando, nel bel mezzo di un assordante silenzio, un’altra opera di predazione da parte della nostra ingorda classe politica, in questo caso la sanità universitaria.
Una delle poche istituzioni rimaste, almeno in parte,  fuori dalle grinfie della politica arraffatutto grazie la legge sull’autonomia degli atenei, la 168 del 1989, che garantiva l’autogoverno dell’università.
Pur con tutti i suoi limiti l’università in Italia ha continuato a sfornare fior di professionisti e ricercatori per la cui formazione lo Stato ha speso mediamente 500 mila euro cadauno  per poi vederli emigrare in altre nazioni pronte ad offrire loro ciò che noi gli abbiamo negato, un lavoro dignitoso ed una remunerazione equa ove  mettere a frutto quanto appreso.
Non potendo espropriare tout court l’università ai legittimi proprietari, cioè gli studenti, i dipendenti T.A.,  i docenti e la società più in generale, i nostri rapaci politici hanno ben pensato di prenderla per fame, per cui nel tempo, governi di ogni sponda hanno cominciato a chiudere i rubinetti del finanziamento pubblico con la speranza che prima o poi gli atenei soccombessero per inedia.
Nonostante tutti i tagli, ma meglio sarebbe definirli taglieggiamenti, operati nei confronti dell’istruzione universitaria, in qualche misura si è riusciti ugualmente a stare a galla per cui bisognava , per la politica, trovare altre armi, in questo caso si stà inviando un bel siluro proprio sulla linea di galleggiamento ad una parte importante, circa ¼ dell’università italiana, la Facoltà di Medicina.
Difatti, dopo averle espropriato la formazione dal 3° anno in poi, con un altro colpo di mano, sotto forma di linee guida dei protocolli d’intesa Università – Regioni, tutto il personale universitario verrebbe trasferito nei ruoli del servizio sanitario nazionale che com’è noto è totalmente in mano alla partitocrazia che vi opera con  spartizioni selvagge e spoil system imperante.
Naturalmente la didattica e la ricerca in queste cosiddette AOU è tabù e addirittura, se la bozza di linee guida passasse così com’è, sarebbe nel potere dei direttori generali delle AOU nominare anche i professori scegliendoli tra il personale del SSN, addirittura ai dipendenti di ruolo universitari T.A.  pur in possesso di tutti i requisiti di legge è negata la possibilità di insegnare nella propria università, proprio perché universitari.
Per adesso tocca alla Facoltà di Medicina che di fatto sarà “aslizzata”, poi sarà il turno di quella parte restante dell’università  che oggi assiste passivamente a questo esproprio considerandolo quasi un fatto ineluttabile.
Non bastava più l’occupazione sistematica delle istituzioni pubbliche e private, banche, enti, consorzi, etc…; da una stima recente prodotta da un importante istituto di statistica sarebbero circa 1.400.000 gli  addetti  in attività “politiche” e l’indotto che attorno ad esso ruota.
In pratica il più grande comparto del pubblico impiego che ingoia ogni anno una montagna di risorse economiche che “produce” benefici e privilegi solo per se stesso rendendo al Paese malgoverno e nepotismo.

* Segretario Generale  Nazionale - Sindacato CSA della Cisal Università


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